STA-TUTTO ETICO E POETICO

Stare nel lavoro, tuttə interə, senza invisibilità e senza colpa. Perché l’etica non è un codice, ma una comunità in movimento. Un esercizio collettivo di auto-narrazione del lavoro immateriale e dei suoi valori.

Sabato 18 ottobre è stata una giornata molto importante per i lavoratori e le lavoratrici che hanno preso parte al Festival per un Lavoro Felice.

La storia che appartiene alla visione olivettiana della serenità lavorativa è nota a molte persone ma, purtroppo, in questa società dinamica e sempre più assetata di velocità e performance, spesso non ci si ferma a pensare che cosa davvero il lavoro voglia dire per ognunə di noi. Nel salone che un tempo ospitava i lavoratori e le lavoratrici di Olivetti, abbiamo scelto di compiere un piccolo ma rivoluzionario gesto di umanità: fermarci a riflettere sui nostri bisogni ed esigenze professionali.

Guidatə da Sophie Brunodet e Chiara Bosco del collettivo Biloura, attraverso un’esplorazione artistica, abbiamo indagato quattro grandi aree dell’esperienza lavorativa e scritto insieme uno STA-TUTTO ETICO e POETICO — un manifesto dei bisogni, dei valori e delle aspirazioni che ogni persona porta con sé nel proprio percorso professionale.

Abbiamo poi deciso di affiggerlo collettivamente nelle bacheche sindacali originali della fabbrica, perché resti come un faro, capace di ispirare chiunque passi di lì e voglia interrogarsi sul rapporto che vi è tra il sè e il lavoro.

Grazie di cuore a chi ha curato il workshop e a tuttə le persone che ne hanno fatto parte: è stato un momento davvero felice che siamo certə aprirà la strada a nuove collaborazioni e prospettive.

 

STA-TUTTO

Noi lavoriamo in spazi improvvisati.

Veniamo da esperienze e bisogni differenti.

Noi valiamo a prescindere, anche quando ci fermiamo.

Siamo flessibili come uno spaghetto stracotto: quel minuto in più ci ha rese spappolate. Eppure ci reggiamo sulla consapevolezza collettiva della pasta di cui siamo fatte.

Siamo fatte di aspettative e contraddizioni.

Portiamo addosso il peso della nostra tradizione.

Il nostro tempo ha il sapore di sottovuoto amaro, pane appena sfornato e leggere aspettative.

Il lavoro visibile è precaria scelta, ma il lavoro invisibile è un atto d’amore.

Crediamo che il lavoro sia autodeterminazione ma anche creazione collettiva.

Non lavoriamo mai davvero da sole perché è una falsità che il lavoro sia una questione individuale.

Ci teniamo in piedi con il riconoscimento reciproco.

La nostra ingiustizia taciuta ha il nome di incertezza, ma la nostra forza ha il volto della collettività.

Se il lavoro fosse un oggetto sarebbe una valigia piena, una fiaccola e delle scarpe comode.

E se il lavoro fosse una promessa direbbe: non ti spegnerò.