“Tra la fine del ’62 e gli inizi del ’64 venne a prender forma nella mia mente non tanto una soluzione, quanto un sogno… Sognavo una macchina che sapesse imparare e poi eseguire docilmente, il cui uso fosse alla portata di tutti e non solo di pochi specialisti.” (Piergiorgio Perotto, ingegnere, informatico, ideatore della Programma 101)
Per esprimere a pieno la creatività che porta il nuovo è necessario creare connessioni tra elementi solitamente non connessi e, per fare questo, investire tempo in attività apparentemente poco produttive, come chiacchierare con persone diverse da noi, leggere, passeggiare senza meta, prendere appunti. Insomma creare le condizioni per far nascere un’idea. La creatività non è un processo lineare di causa-effetto, non sappiamo come ottenerla scientificamente. Possiamo solo aumentare la probabilità che si manifesti: per questo molti incubatori di start-up, in tutto il mondo, hanno al loro interno degli spazi di incontro “fuori tema”, per far sì che le persone si trovino e conoscano e che le idee circolino liberamente. Creando, appunto, nuove connessioni.
Anche l’utilizzo di hardware e software open source, consentendo a tutti la possibilità di capire e partecipare al processo creativo, può facilitare tutto questo. E allora cosa c’è di più bello, inutile e dunque utile, che dedicarsi ad un progetto che potrebbe sembrare una mera operazione nostalgica, ma è in realtà un esempio attualissimo di innovazione?
Il sogno di oggi: connettere la P101 con Arduino
Ogni mercoledì presso le Officine ICO di Ivrea si rinnova un piccolo miracolo: tre generazioni si ritrovano attorno ad una Programma 101 — il primo desktop computer al mondo, che vide la luce nel 1964 grazie alla Olivetti — per salvare dall’oblio i programmi creati originariamente per questa macchina prodigiosa, memorizzati su cartolina magnetica. Come? Mettendola in connessione con Arduino (open source) e un moderno PC.
Occorre aprire una breve parentesi: oggi il Computer più diffuso è lo smartphone e le app che esegue vengono scaricate dalla rete; vent’anni fa le applicazioni per PC venivano memorizzate su CD-ROM per poter essere distribuite; quarant’anni fa, nel cuore degli anni Ottanta, l’epoca della prima grande diffusione dei computer personali, le applicazioni si trovavano su floppy disk. Tutti questi supporti sono ancora oggi leggibili perché la tecnologia ha conservato una buona retro-compatibilità: è possibile, ad esempio, acquistare un lettore per floppy disk da collegare al nostro moderno PC tramite la porta usb. Ma le app della Programma 101, le prime della storia dell’informatica, si trovano su cartoline magnetiche che possono essere lette solamente da questa macchina.
Ed ecco il sogno di oggi: connettere la P101 con Arduino, deviare il flusso di bit verso l’esterno e memorizzarlo all’interno di un laptop. La macchina che era nata per essere alla portata di tutti si incontra oggi con il simbolo dell’hardware libero, Arduino, nato quattro decenni più tardi in quello che fu il Centro Studi ed Esperienze Olivetti (per breve tempo, l’Interaction Design Institute). Non a caso, a due passi dalle Officine ICO.
Dicevamo, tre generazioni sono coinvolte per concretizzare l’idea. Perché nello stesso piccolo laboratorio, che confina con la nuovissima ICO Academy, si ritrovano periodicamente Gastone Garziera (classe 1942, con Pier Giorgio Perotto e Giovanni De Sandre uno dei genitori della P101); Norberto Patrignani (classe 1955, ex informatico Olivetti e primo docente di Computer Ethics in Italia) e alcuni collaboratori sempre di origine olivettiana; le giovani donne del Laboratorio Museo Tecnologic@mente, guidate da Emanuela Giulietti, coordinatrici del progetto.
Alcuni tra i principali protagonisti dell’innovazione tecnologica italiana e internazionale continuano a ritrovarsi mettendo la loro esperienza a servizio di tutti, in particolare delle scuole che da tutta Italia dialogano con il Laboratorio/Museo di Ivrea, in un allegro sodalizio in cui è davvero impossibile tracciare i confini tra gioco e lavoro, utile e inutile, ingegneria e filosofia. E dunque in piena tradizione olivettiana.
Quelle che seguono sono soltanto alcune delle riflessioni che abbiamo catturato al volo ascoltando la loro conversazione, mentre le loro mani non smettevano di muoversi attorno alle macchine che hanno fatto la storia: “Le Big Tech prendono ma devono anche dare… usano l’open source ma cosa restituiscono agli inventori?”. Oppure: “Non tutte le cose che siamo capaci di realizzare, è giusto realizzarle”. E ancora: “Il tecnico non può più vivere separato dal mondo, senza interrogarsi sulle conseguenze del suo lavoro”.
Oggi le Officine ICO in riqualificazione sono anche questo: un luogo in cui le aziende che si insediano e si insedieranno possono trovare — insieme alla bellezza architettonica delle strutture, al prestigio di una tradizione e a un progetto di rinascita di lungo periodo — un’idea di mondo, di lavoro, di persona, di sviluppo. Un insieme di valori. Certo, la sfida è solo all’inizio.