Un po’ per amore e un po’ per dispetto
Questa rubrica racconta forme d’arte visuale che trovano la loro realizzazione nelle strade delle città, si rendono accessibili a tutti e giocano un ruolo culturale importante al di fuori delle vie istituzionali. Se ne occupa Luca Cristiano, in arte Weed, che ha fatto di questo genere di interventi artistici la sua professione, come ama dire, “un po’ per amore e un po’ per dispetto”. Ha scelto per cominciare questo viaggio di presentarci un artista a lui vicino e di stimolarlo con alcune domande per farcelo conoscere un po’ più approfonditamente.
CLET è un artista di strada francese. Fiorentino d’adozione, ha portato la sua arte nel contesto urbano di tutto il mondo. Si è fatto conoscere per i suoi interventi creativi sulla segnaletica stradale, in grado di reinventarne i simboli esprimendo una critica ironica e intelligente all’autorità. Abbiamo avuto il piacere di fargli qualche domanda.
Quando e come è nata in te l’idea di fare di ogni segnale stradale una possibile installazione?
È nata mentre ci stavo già lavorando. Il mio primo intervento sulla segnaletica, quello di aggiungere un Cristo stilizzato sul segnale di “strada senza uscita”, l’ho fatto ancora ignaro di cosa sarebbe stato poi. Sono state soprattuto le critiche e l’aspra difesa della legge per la legge, come se avesse un valore quasi sacro, da parte dei detrattori che mi hanno fatto riflettere molto sul valore del segnale, sul suo simbolo di ordine. Da lì ho pensato che questi “stimoli” meritassero una risposta.
Qual è, se c’è, l’opera di cui sei più orgoglioso? Hai voglia di aiutarci a leggerla, o comunque di illustrare la relazione che c’è fra un’immagine e un concetto più complesso?
Rispondo sempre che è la prossima perché mi riesce molto difficile immaginare cosa potrei fare una volta che dovessi aver prodotto l’opera migliore della mia carriera, così come mi riesce molto difficile spiegarle.
Hai problemi con le autorità?
Spesso, ma dipende anche da luogo a luogo, si può anche collaborare. Si tratta principalmente di multe, ma sono già stato chiamato a processo più di una volta. L’ultimo problema grosso riguardava l’installazione di una statua su di un ponte di Firenze: era la terza volta che me la toglievano dopo che la posizionavo maquando siamo finiti di fronte a un giudice mi è sempre stata data ragione.
Un grande scrittore come Elio Vittorini, che collaborò con la Olivetti per la campagna della macchina per scrivere Studio 42, scrisse che “la pubblicità deve essere qualitativa e non solo quantitativa”, che “il prodotto non va imposto come dogma e bisogna giocare liberamente con esso”. È sbagliato dire che c’è qualche attinenza con il tuo lavoro, la rilettura che proponi di alcuni simboli?
Se parliamo di dogmi, di rapporto quantità/qualità e di libertà credo che si possano definire fra i punti principali del mio lavoro. Infatti quando intervengo sui cartelli cerco espressamente di giocare con l’ordine e l’autorità che rappresentano, ci tengo molto a dimostrare come un’azione illegale non è immorale in sé, così come una legale non è garanzia di una buona moralità. Inoltre il cartello stradale è un perfetto simbolo della sovrabbondanza: se ne trovano da tutte le parti, sfido chiunque a mettersi a contare ogni singolo cartello di una strada a sua scelta e sono convinto che rimarrà stupito del numero finale. È proprio su questo intreccio e sul desiderio di metterlo in discussione che mi concentro. Il cartello ha indubbiamente una sua funzione, ma allo stesso tempo rappresenta un dogma ripetuto ossessivamente: con il mio intervento provo ad aggiungere qualcosa.
Misuriamo la temperatura delle forme artistiche di strada. Che idea puoi darci di questo mondo? È un movimento di persone ce si conoscono fra loro, che in qualche modo condividono degli obbiettivi? Qualche idea per il futuro di queste opere? Che rapporto possono avere con le città, i processi pubblici e privati?
Questa è una domanda molto difficile. La street art è un mondo complesso e in continua evoluzione che proprio per la sua storica tendenza a uscire fuori dallo schema, abbandonando gallerie, musei e luoghi ufficiali è difficile da inquadrare. Molti artisti si conoscono e almeno in parte condividono un certo spirito, una certa identità libertaria che è probabilmente necessaria per andare fuori la notte a lavorare illegalmente nello spazio comune. Detto ciò, se da una parte si può definire come l’attività di un individuo che ritaglia con l’arte uno spazio libero in un ambiente altrimenti molto ragionato, controllato, utile, è anche vero che ormai la street art va di moda, entra nelle gallerie e si può vendere a cifre da capogiro. Questo problema però mi sembra antico: da una parte la mancanza di regole, anzi il bisogno di infrangerle e la libertà che ne deriva sono terreno fertile per l’arte; dall’altra chi le produce ha bisogno di viverci. Il compromesso non è mai facile. Sono convinto che i musei avranno sempre più spazio per le forme di arte di strada ma allo stesso tempo se si vuole guardare il futuro, cosa sarà domani l’arte e non cosa è stata fino ad oggi, si deve camminare per le strade, non pagare un biglietto.