A furia di condividere pensieri e progetti, parlano ormai con una sola voce
Nicoletta, Dimitri e Brunella mi ricevono nel loro ufficio al terzo piano delle Officine ICO. Per chi scrive, trovarlo riqualificato e popolato è motivo di gioia sincera, il ricordo di quando questi reparti erano il tempio della desolazione è vivo e recente. A buon umore si aggiunge buon umore: sono persone con le quali la confidenza è rodata da anni di amicizia e collaborazioni professionali. Nonostante questo, parlando di questa loro nuova avventura, un po’ mi stupiscono con il grado del loro affiatamento: a furia di condividere pensieri e progetti, parlano ormai con una sola voce, si completano a vicenda.
Dunque, siete una realtà nuova, che all’interno del processo di riqualificazione delle Officine ICO ha un ruolo preciso. Non è sbagliato presentarsi. Chi siete e cosa fate?
«Partiamo dalle cose basilari. Abbiamo scelto di costituirci come impresa sociale per tenere insieme il senso del fare impresa con obiettivi di interesse generale. Siamo convinti che ci sia sempre più spazio per forme di economia sociale, insomma per sperimentare pratiche d’impresa in ambiti che, tradizionalmente, si reggono quasi esclusivamente sul sostegno pubblico e sul volontariato. In generale, crediamo che attività culturali, servizi di cura, formazione delle giovani generazioni, inclusione dei più fragili possano diventare maggiormente sostenibili e, al contempo, offrire nuove opportunità professionali».
«Ci siamo costituiti nel marzo del 2022 e uniamo persone fisiche e organizzazioni. I membri del consiglio di amministrazione sono: Nicoletta Marcon (anche presidente), Dimitri Buracco Ghion (anche vice presidente), Massimo Lomen, Vittorio Traversa ed Elena Zambolin. Gli altri soci sono Icona S.r.l., A.I.A.S. (Associazione italiana per l’assistenza agli spastici di Ivrea) e Brunella Bovo. Abbiamo sede e uffici all’interno delle Officine ICO: siamo nati per accompagnare attraverso l’offerta culturale e formativa il percorso di riqualificazione di questi spazi, iniziato alcuni anni fa con la loro acquisizione proprio da parte di Icona S.r.l.»
Cosa significa “accompagnare la riqualificazione con l’offerta culturale e formativa”?
«In effetti non è un concetto immediato. Dunque: da un lato, è stata avviata la riqualificazione materiale di questi edifici storici. Dall’altro, è cominciato un processo altrettanto ambizioso che deve portare al ripopolamento di questi spazi. Cioè il ritorno, al loro interno, di un insieme necessariamente eterogeneo di imprese, professionisti e organizzazioni. Una doppia sfida. Noi abbiamo il compito di contribuire a fare sì che anche la ricchezza immateriale torni ad attraversare questi spazi. Il carisma olivettiano, che qui aleggia ancora, deve essere raccontato adeguatamente, rinnovato affinché continui a funzionare come elemento attrattivo. Oltre a questo, bisogna riconnettere questi luoghi alla loro comunità di riferimento. Come? Con contenuti culturali e formativi nuovi, che vanno immaginati, prodotti, organizzati e declinati in attività concrete che abbiano un impatto positivo sulla comunità. Nella nostra visione, nella visione della proprietà, nella visione dell’architetto Cino Zucchi che sta gestendo la riqualificazione, in questo processo tutto si deve tenere: la dimensione materiale e immateriale devono intrecciarsi e arricchirsi reciprocamente».
Nella comunicazione delle vostre attività spicca il marchio di ICO•LAB. Potete dare una breve spiegazione?
«ICO Impresa sociale S.r.l. è la ragione sociale, ma come marchio dei nostri progetti usiamo ICO•LAB per sottolineare che, rispetto all’ecosistema Officine ICO, vogliamo proporci come una sorta di laboratorio, in cui si sperimentano iniziative che coniugano il lavoro culturale con la dimensione sociale, costruiscono spazi di collaborazione tra soggetti e ambiti disciplinari diversi. Perciò ICO•LAB è il cappello, la suggestione riconoscibile che tiene insieme ogni nostra singola iniziativa».
Potete dirci qualcosa in più sulla natura dei vostri progetti? Da quali riflessioni hanno origine e in che direzione vanno?
«Proviamo a semplificare. Occorre costruire una doppia cerniera culturale che, da una parte, unisca passato, presente e futuro; e che, dall’altra, unisca dimensione locale e dimensione globale. In pratica, per stare al primo punto, se gli spazi in cui ci troviamo nel 2018 sono stati dichiarati patrimonio dell’umanità per l’Unesco, è grazie alla qualità della risposte che nel secolo scorso la vicenda olivettiana aveva dato alla domanda: si possono tenere insieme lo sviluppo industriale con lo sviluppo della persona e della comunità?»
«Oggi, in un contesto completamente diverso, si deve continuare a tenere insieme la rinascita economica e produttiva di queste officine con un’idea di servizio sociale e culturale alla comunità. Non per mantenere viva una tradizione, se così possiamo chiamarla, ma perché ce n’è ancora bisogno. In questi ambienti storici si possono portare abbastanza facilmente spettacoli, conferenze, presentazioni di libri, ne ospitiamo e ne ospiteremo sempre di più. Tuttavia il nostro compito non è solo quello di mettere a disposizione degli spazi: dobbiamo dare vita a una progettazione culturale che facciano delle officine un luogo ricco di opportunità anche formative soprattutto rivolte ai più giovani. Un luogo aperto e accogliente, pensato per imparare, per collaborare con altre persone, per acquisire strumenti e competenze, costruire dei ponti tra professionalità diverse».
«Per venire al secondo punto: occorre che la progettazione culturale e formativa sia profondamente radicata nell’originalità che la storia industriale di Ivrea porta in dote, ma sia collocata in un contesto che ormai è in tutto e per tutto globale. Non parliamo solo di economia, dove questo è particolarmente evidente, ma di cultura, di percezioni, di sensibilità, di gusto. Le persone oggi attingono stimoli e derivano la propria identità anche da piattaforme internazionali: occorre tenerne conto, per mettere a valore le possibilità che tutto questo genera e provare a disinnescare i problemi».
In questo spirito rientrano, mi pare, i corsi che avete organizzato per i professionisti di un nuovo welfare culturale.
«Esattamente. Programmi e politiche pubbliche sottolineano da anni quanto le imprese culturali e creative possano generare ricadute positive per l’economia nel suo complesso, poiché sono capaci di generare innovazione e di stimolare capacità creative anche a favore di altri settori produttivi oltre al proprio. Ci si aspetterebbe, quindi, un mercato del lavoro sempre più orientato alla valorizzazione di queste particolari realtà professionali. L’analisi dei dati rivela invece una situazione decisamente più critica: precarietà e lavori a progetto, condizioni salariali inferiori, difficoltà di accesso, scarso riconoscimento sociale, organizzazioni di settore deboli».
«Il corso Operatori culturali per lo sviluppo di comunità, con cui ICO impresa sociale ha scelto di avviare il lavoro della ICO Academy, è nato per aiutare la crescita professionale dei tanti giovani che operano nel terzo settore e che mettono in dialogo attività culturali e lavoro sociale. Crediamo che Ivrea sia il luogo giusto: da una parte, l’esperienza storica della Olivetti ha sempre promosso un modello sociale in cui cultura e comunità dialogavano intensamente; dall’altra, il tessuto locale è ancora straordinariamente vicino ai temi dell’inclusione sociale. Il corso, giunto nel 2024 alla sua seconda edizione, si sviluppa in 5 moduli e prevede la realizzazione di un project work che consente ai partecipanti di misurarsi con lo sviluppo di un progetto concreto. I moduli didattici approfondiscono e forniscono strumenti relativi ai principali aspetti che deve saper gestire un buon project manager: lettura del contesto e gestione degli stakeholder, community management, definizione degli obiettivi e pianificazione delle attività, comunicazione, budget e fundraising, monitoraggio e valutazione degli impatti. Sono intervenuti, come relatori, professionisti ed esperti di livello nazionale, come Roberta Franceschinelli (responsabile del programma Culturability e Presidente di Lo Stato dei Luoghi), Ilda Curti (già Assessore al Comune di Torino e esperta di rigenerazione urbana), Elena Miglietti di Scuola Holden di Torino, Mattia Anzaldi di Nova, Stefano Laffi di Codici, Silvia Ribero del collettivo artistico Biloura, Beatrice Sarosiek, progettista culturale, Tana Anglana, esperta di comunicazione sociale, professionisti di Social Fare Torino. Realizzata con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo di Torino nell’ambito del bando Linee guida per la formazione e l’avviamento alla professione culturale, l’iniziativa coinvolge come partner locali: il Museo civico P.A Garda (Città di Ivrea), il Consorzio Servizi Sociali IN.RE.TE, la Fondazione di Comunità del Canavese, il Corso di Laurea in Infermieristica, la Grande Invasione (Festival della lettura) e lo ZAC! Zone Attive di Cittadinanza».
«Insomma, la nostra progettazione culturale non è un cartellone o un elenco di eventi, ma un insieme pensato di occasioni: sia per favorire l’incontro e l’ibridazione tra vicini di casa, per così dire, sia per dare strumenti formativi a professionisti, imprese, operatori sociali, operatori culturali, artigiani della cultura. Con lo stesso spirito selezioniamo i progetti ai quali aderiamo come partner, perché condividono con noi questa visione rivolta al territorio e al futuro. Presidiamo spazi di frontiera tra discipline e soggetti diversi. Perché è questo il nuovo destino dell’area».
In che misura progetti e programmi come questo entrano in dialogo con la riqualificazione vera e propria?
«Ogni volta che è possibile, perché per realizzarsi hanno e avranno bisogno sia di spazi particolari, aperti, che favoriscano l’incontro e il confronto, sia di aree di concentrazione, modulari, adatte alle funzioni che si propone di sviluppare. Per questo crediamo che serva un approccio, per così dire, coraggioso: per esempio, abbiamo escluso dall’inizio l’idea di allestire un nuovo museo, o un auditorium vero e proprio che funzioni solo per gli eventi. Immaginiamo, invece, ambienti modulari e trasformabili che favoriscano la mixitè funzionale di cui parla Cino Zucchi (intervista n. 1 de La Rapidissima, gennaio 2021). Queste erano le officine di una sola azienda enorme, che li riempiva tutti con le proprie linee e le proprie idee. Non sarà più così, e oggi devono aprirsi a una pluralità di soggetti e di funzioni che non devono vivere in compartimenti stagni».
«Proprio per questo siamo particolarmente contenti di essere stati selezionati da Hangar Piemonte per un percorso di accompagnamento finalizzato a mettere a punto il progetto di rigenerazione di alcuni spazi delle Officine ICO. Un percorso che condivideremo con la Città di Ivrea e che ci metterà in dialogo con la Regione Piemonte, la Fondazione Compagnia di San Paolo, la Fondazione CRT, la Fondazione per l’Architettura, l’Associazione Lo Stato dei Luoghi, Confcooperative Cultura».
Voi nascete su impulso di Icona S.r.l., che è anche socia dell’impresa sociale.
«Icona ha avuto il merito di leggere sin dall’inizio la trasformazione di questi spazi non solo in una logica immobiliare. Quindi l’impresa sociale nasce per mettere a valore questa sensibilità. Usiamo pure la parola sfida, perché, in verità, ci muoviamo in un terreno stimolante quanto nuovo: non ci sono formule, modelli di riferimento che si possano trasportare qui, semplicemente applicandoli. Nelle aree metropolitane europee ci sono molti spazi industriali che ora vivono una nuova vita e assolvono a nuove funzioni, ma Ivrea è in provincia, in un contesto demografico ed economico sicuramente più difficile. La nostra è una sfida creativa, diciamo così, perché i numeri raccontano di un lavoro che nel mondo sviluppato tende a disinsediarsi, oppure, quando si insedia, continua a farlo nelle grandi aree metropolitane».
«Una sfida contro intuitiva, anche, perché nei luoghi in cui è accaduto qualcosa di potente, qualcosa che poi è finito, la tentazione della rimembranza, persino della nostalgia, può essere forte. Invece lo sforzo deve essere quello di declinare tutta questa storia al futuro, secondo le direttrici dell’innovazione, della sostenibilità e dell’inclusione. Per fare ciò, certamente, abbiamo anche dei punti di forza. A cominciare dal carisma che la storia olivettiana, in quanto officina di idee più ancora che di prodotti, continua a emanare. Un carisma internazionale. Certo, non è qualcosa su cui uno si possa adagiare, da cui possa farsi trainare, né si tratta di una pianta su cui crescono risposte che basta raccogliere. È più semplicemente un carburante, un repertorio che può accorciare i tempi perché la riflessione che è stata fatta qui dentro resta una delle più avanzate del secolo scorso. Per non parlare del pregio architettonico di questi spazi, che si nota ancor di più frequentandoli giorno dopo giorno. Per tutto questo, le officine ICO restano una calamita importante».
A chi vi rivolgete con le vostre proposte?
«L’ambizione è quella di coinvolgere in primo luogo le persone più giovani, offrendo loro strumenti culturali e formativi per renderle sempre più permeabili alla conoscenza e a una dimensione collettiva, a un senso di appartenenza alla comunità. Un esempio concreto: un operatore culturale che ambisca ad essere un buon project manager, ma che ignori completamente le caratteristiche del territorio in cui si muove, le sue risorse vocazioni e le sue amnesie, è un operatore più debole. Allo stesso modo, un operatore sociale che, per esempio, non sappia rapportarsi a culture diverse e quindi sia sempre sulla difensiva, è un operatore meno efficace. Continuando su questa falsariga, anche l’impresa oggi è necessariamente innervata di cultura, ne ha bisogno in misura maggiore di un tempo, perché deve leggere e interpretare cambiamenti sempre più veloci e sempre più internazionali. La formazione che progettiamo, che è fatta di tanti episodi diversi, è tutta pensata per essere di nutrimento a queste professionalità eterogenee che emergono all’orizzonte. Deve attraversare molteplici discipline, creare e non solo attirare pubblici variegati».
«Noi abbiamo chiaro che il nostro pubblico privilegiato è l’ampia fascia di persone che stanno più o meno tra i 18 e i 35 anni. Ivrea e il territorio offrono ai bambini quello che devono offrire, anche dal punto di vista culturale, con una certa generosità. Lo stesso per quanto riguarda chi ha raggiunto la piena maturità o un’età più avanzata. In mezzo, per chi è rimasto, c’è una sorta di vuoto anche formativo, con poche opportunità di esprimersi, imparare, coltivare vocazioni in un contesto collettivo e vivace. Dentro al mondo cosiddetto giovanile c’è un insieme piuttosto ampio di persone con abilità e percorsi professionali interessanti, che vanno aiutate a sbocciare: ma per questo serve un terreno fertile, serve una serra, come possono essere queste officine se adeguatamente organizzate e interpretate. Vorremmo che questo fosse il contesto che accoglie, mescola, forma professionalità nuove, al passo con il nostro tempo e con le sue sfide: chi usa le propria abilità artistiche per arricchire progetti sociali, chi usa strumenti digitali per fare arte, chi frequenta frontiere dell’inclusione sociale che possono essere raccontate. Come dicevamo, servono anche spazi adatti, non classici, non troppo compartimentati, ma adatti a favorire relazioni fra soggetti diversi, una sorta di formazione permanente che avviene come tra vasi comunicanti. Anche noi, ovviamente con le nostre possibilità, vorremmo portare in questi spazi restituiti al lavoro, delle iniziative capaci di produrre ricadute occupazionali ed economiche positive. Un po’ come ha saputo fare, per dare un esempio anche raccontato su questa rivista, l’associazione Giovani Vignaioli Canavesani nell’ambito del vino: una cosa che prima non c’era e adesso c’è, motivante, corroborante, che ha creato relazioni e amicizie, che ha implementato le capacità, unito e rafforzato imprese che spesso erano fragili e individuali».
Una riflessione allora proprio sull’area di Via Jervis, che è al centro di iniziative diverse. Sembra davvero superato il momento in cui questo era un luogo dimenticato e abbandonato.
«Nel 2018 la proclamazione di Ivrea a patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco, come Città industriale del XX secolo; l’acquisizione, nello stesso anno, di una porzione importante dell’area da parte di Icona; il recente passaggio di proprietà della chiesa di San Bernardino e dell’annesso convento, che hanno un’importanza storica e artistica incredibile, al FAI: sono solo le ultime tessere di un puzzle che si sta componendo».
«Se a queste si uniscono la presenza nell’area del MAam, del polo universitario di Scienze Infermieristiche, del rinnovato Laboratorio Museo Tecnologicamente, del nuovo spazio comunale dell’Asilo Nido Olivetti, della sede di Oli-Adriano Olivetti Leadership Institute, si capisce come si stia creando un polo dalle grandi potenzialità, in cui attori con interessi diversi possono convergere, ognuno per il suo campo: dall’impresa al turismo, dalla cultura all’inclusione sociale. In tale prospettiva gli spazi delle Officine Ico, in particolare quelli che si prevede di destinare a funzioni aperte alla cittadinanza e ai visitatori, possono dare un contributo determinante. La qualità architettonica, la generosità con cui sono stati progettati, quasi un secolo fa, li rende infatti adatti a ospitare soggetti e iniziative diverse mettendole in comunicazione e favorendo nuove e più forti collaborazioni».
«La programmazione culturale e il nostro lavoro vanno letti proprio in questa direzione e ci auguriamo possano alimentare questo processo. Le attività immateriali non devono essere episodiche, né sono soltanto un modo di ricoprire di visibilità e prestigio una quotidianità produttiva. Deve essere un nastro trasportatore sul quale viaggiano informazioni, conoscenze, competenze, abilità, sensibilità: da fuori a dentro queste officine, possibilmente da dentro a fuori, certamente da un reparto all’altro. La cultura ha valore sociale, ha risvolti economici, è un fattore di crescita delle persone, delle comunità, delle imprese: la consideriamo in questo modo e prendiamo le nostre decisioni (quali laboratori organizziamo, quali conferenze ospitiamo, quali professionisti chiamiamo a collaborare, di quali progetti vogliamo far parte?) esattamente in questa prospettiva».