Oltrepassare il confine con creatività e fiducia
Siamo giunti al terzo numero de La Rapidissima, il “diario pubblico” delle Officine ICO di Ivrea che un po’ racconta e un po’ nutre la rinascita di questo patrimonio storico e architettonico all’interno della cittadella olivettiana di Ivrea. Dopo esserci concentrati, nella nostra prima uscita, sulla riqualificazione vera e propria degli spazi e, nella seconda, sulle strategie scelte per attirare al loro interno imprese e attività culturali, in questo terzo numero ci occupiamo del rapporto tra le Officine ICO e la comunità circostante. Chiedendoci, in sostanza, in che misura e in che maniera la seconda vita di questo luogo così carismatico può tornare ad essere motore di inclusione sociale e culturale.
Per questo abbiamo scelto, come cardine sul quale ruotano tutti i contenuti, il tema del confine. Certo, utilizzato senza pretesa di completezza, ma come orizzonte di riflessione entro il quale ogni singolo contributo è stato immaginato e realizzato. Il confine, dunque, come elemento da conoscere, frequentare, persino rispettare, ma certamente da oltrepassare con creatività e fiducia per costruire nuovi progetti, nuove pratiche, nuovi comportamenti.
Il confine viene considerato da prospettive diverse. Quello spesso invisibile, ma non per questo meno vincolante, fra i ceti che compongono una comunità, è il confine che rimanda al tema dell’inclusione sociale vera e propria: con quali strumenti, anche culturali, le Officine ICO possono contribuire alla costruzione di una comunità più coesa? Del resto, questi non sono solo edifici: la loro importanza è dovuta certamente alle loro forme architettoniche, ma anche e soprattutto al fatto che furono il teatro di politiche luminose, che fecero della fabbrica uno strumento per la promozione sociale.
Il confine tra ambiti disciplinari diversi ci ha suggerito, invece, un ragionamento che fosse sviluppato da un punto di vista antropologico. Persino linguistico: in che misura alimentiamo i confini e le distanze con altre culture, altre etnie, altre regioni del mondo, semplicemente parlando – dunque pensando – in un certo modo? Parliamo davvero una certa lingua o ne siamo parlati?
Il tema del confine, come da nostra abitudine ormai consolidata, è anche declinato attraverso il linguaggio della fotografia. Il carattere astratto delle opere artistiche che proponiamo in questo numero ci pare un modo suggestivo di lavorare un po’ sul nostro sguardo, sulle nostre percezioni, in un piccolo esercizio di libertà estetico.
Il confine tra impresa e cultura è del tutto arbitrario, non c’è impresa che non produca cultura e non ne sia, in qualche misura, un frutto. Allo stesso tempo, qualsiasi opera artistica è un atto creativo per eccellenza, rivela certamente un’attitudine all’intrapresa e in qualche caso addirittura all’imprenditorialità. Detto questo, impresa e cultura continuano a frequentarsi in modo occasionale: per questo abbiamo voluto raccontare un esempio suggestivo di reciproco arricchimento, avvenuto nelle Officine ICO di recente, forse non a caso.
Infine, confini sono anche quelli che dividono i pubblici della cultura. Se è vero che l’eterogeneità della proposte culturali e dei loro pubblici è un indice di vitalità di un territorio, è altrettanto vero che se i confini tra una proposta e un’altra (ad esempio: la separazione tra generi) e tra un pubblico e un altro (ad esempio: la separazione tra generazioni) diventano troppo marcati, il territorio si impoverisce. Le politiche culturali possono diventare silenziosamente esclusive, in un processo che gli osservatori faticano a rilevare e che i numeri faticano a misurare. Così, abbiamo quindi deciso di raccontare una rassegna musicale originale, nata e cresciuta a Ivrea con ambizioni e risultati ben diversi.